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Revista de Estudios Históricos de la Masonería Latinoamericana y Caribeña

versión On-line ISSN 1659-4223

REHMLAC vol.14 no.2 San Pedro, Montes de Oca jul./dic. 2022

http://dx.doi.org/10.15517/rehmlac+.v14i2.50802 

Artículo

L' ''Internazionale evangelica'' e la scissione del rito scozzese antico ed accettato in Italia nel 1908

The ''Evangelical International'' and the split of ancient and accepted scottish rite in Italy in 1908

1Università di Torino, Turín, Italia; marco.novarino@unito.it

Abstract

Nel 1908 si produsse la più grave scissione all'interno del Rito Scozzese Antico ed Accettato italiano e di conseguenza del Grande Oriente d'Italia, che ebbe come protagonisti principali dei pastori protestanti. La scissione non fu il frutto di una congiura ''protestante'', ma le relazioni evangelmassoniche internazionali degli scissionisti permisero sopravvivere grazie anche ai prestigiosi riconoscimenti internazionali ottenuti. In buona parte il merito può essere attribuito alle grandi doti di abilità politica e allo spasmodico lavoro prodotto dal pastore Saverio Fera e dai suoi più stretti collaboratori, anche se le Chiese a cui appartenevano furono del tutto estranee alla vicenda.

Parole chiave: Rito Scozzese Antico ed Accettato italiano; Grande Oriente d'Italia; relazioni tra massoneria e protestantesimo; Saverio Fera

Abstract

In 1908 there was a severe schism in the Ancient and Accepted Scottish Rite of Italy and, consequently, in the Grande Oriente d'Italia. The main actors were protestant pastors. The ''protestant'' conspiracy didn't cause the split, but the international evangelmassoniche relationships of the secessionists helped the new masonic organism survive thanks to their prestigious international awards. The good political qualities and the hard work of pastor Saverio Fera and his close associates made this possible, even if the churches, to which they belonged, had nothing to do with it.

Keywords: Italian Ancient and Accepted Scottish Rite; Grand Orient of Italy; relations between Freemasonry and Protestantism; Saverio Fera

L'intervento politico della massoneria italiana e le convergenze con gli ambienti protestanti

All'inizio del Novecento il Grande Oriente d'Italia era diviso in due componenti: la prima riteneva che il termine libertà dovesse coniugarsi con progresso e che l'anticlericalismo non potesse essere il solo elemento aggregante. La seconda, di stampo moderato e con alcune frange dichiaratamente conservatrici, che invece si opponeva a radicali cambiamenti, in nome dell'unità massonica.

Con l'elezione nel 1904 alla gran maestranza del repubblicano e scultore Ettore Ferrari, fautore di un ruolo più attivo della massoneria nelle vicende politiche nazionali e internazionali, la prima componente si rafforzò. Per il nuovo Gran maestro iniziò una difficile partita nel mediare tra le due anime della sua Obbedienza. Da una parte cercò di non scontentare il suo schieramento di riferimento che aveva trovato nuove forze ed era andato incontro a una progressiva radicalizzazione con il rientro dei ''dissidenti'' capitanati da Malachia De Cristoforis e che avevano fondato il Grande Oriente Italiano. Dall'altra cercò di smorzare le accuse - lanciate dai settori più moderati dell'Istituzione - che fosse schierato troppo a sinistra.

Con una prassi puntualmente usata in massoneria in momenti di grandi tensioni, enfatizzò le affinità esistenti. La prima e conditio sine qua non era naturalmente la lotta contro il clericalismo che passava attraverso la sconfitta dell'ignoranza e del pregiudizio religioso. Però la ricerca di un punto d'equilibrio era tutt'altro che facile. I tentativi di alleanza tra conservatori e clericali, che in varie parti della Penisola stavano prendendo corpo, con la partecipazione in alcuni casi di esponenti della liberamuratoria su posizioni politiche conservatrici, terrorizzati dal ''pericolo rosso'', lo costrinsero a ribadire con fermezza il rifiuto assoluto di favorire qualsiasi accordo con i cattolici e di dimostrare nessuna tolleranza nei confronti dei ''fratelli'' che non avessero obbedito a quanto disposto.

L'espulsione di coloro coinvolti nella creazione di simili alleanze, inasprì il contrasto con la componente conservatrice già molto critica riguardo alla modifica dell'articolo I° della Costituzione che diede vita a un vivace dibattito tra i due schieramenti. L'introduzione del capoverso in cui si proclamava esplicitamente che ''la comunione italiana propugna il principio democratico nell'ordine politico e sociale''1 provocò forti dissensi che si manifestarono principalmente in seno al Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico ed Accettato e se la maggioranza delle logge si adeguò alle direttive, alcune interpretarono questa svolta in modo negativo e lesivo della tradizione liberomuratoria.

Dopo l'assemblea del 1906, il Grande Oriente d'Italia si propose come punto di riferimento e agente di coesione per le componenti politiche progressiste, contribuendo a dar vita alla stagione dei blocchi popolari. In occasione di elezioni politiche o nella formazione di amministrazioni locali, si cominciò a utilizzare i rapporti liberomuratori per favorire collegamenti fra esponenti di diversi settori politici, a partire dai socialisti riformisti per giungere fino a quegli esponenti della classe di governo che si definivano genericamente liberali costituzionali, passando per i repubblicani e per i radicali. L'alleanza tra massoneria e forze laico-democratiche andava ben oltre un accordo elettorale e fondava la sua ragion d'essere sulla convergenza su temi come l'anticlericalismo e una maggior attenzione e coinvolgimento delle masse popolari, visti come la chiave di volta della battaglia per il consolidamento di uno Stato laico.

Se l'anticlericalismo favorì l'iniziazione di numerosi pastori e membri ecclesiastici delle Chiese protestanti operanti nella penisola, indipendentemente dal loro orientamento politico, questa apertura progressista coincise con il cambiamento di attitudine verificatosi in alcune denominazioni2 non solo rispetto alla ''questione sociale'' e rafforzò il clima favorevole verso le componenti più progressiste dello schieramento politico e della società, favorito dalla diffusione della teologia liberale.

In seguito alla svolta del 1906, grazie anche a una capillare diffusione su tutto il territorio nazionale, le logge offrirono un quadro di riferimento ideale in occasione delle elezioni amministrative e di quelle politiche. Il Grande Oriente d'Italia passò dalle generiche indicazioni di voto fornite nel passato a un diretto intervento nelle dinamiche elettorali. Nel 1907 le vittorie delle coalizioni liberal-progressiste - appoggiate dalle logge in città come Bergamo, Reggio Emilia e Firenze - resero evidente che l'anticlericalismo rappresentava un forte collante per questo tipo di accordo elettorale. Tali successi confermarono la strategia sostenuta vigorosamente dalla massoneria, che auspicava come ''potesse costituirsi il fascio di tutte le forze liberali senza distinzione di partito politico per combattere la coalizione clerico-moderata.''3

Ma l'apoteosi si registrò a Roma con l'elezione a sindaco dell'ex Gran Maestro Nathan. La nuova alleanza vincitrice rappresentava quanto era stato auspicato solo pochi mesi prima dalla ''Rivista massonica'' e legittimava di fatto la politica imposta alla massoneria da Ferrari. Vincere a Roma, oltre a strappare la città alla coalizione clerico-moderata, assumeva dunque uno straordinario valore simbolico per la liberamuratoria, proprio nel primo centenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, che rimaneva nell'immaginario collettivo liberomuratorio ''il primo massone d'Italia''.

Di questo nuovo clima politico non poteva che rallegrarsene quella parte dell'evangelismo che nell'alleanza con la massoneria e le forze liberaldemocratiche ne aveva fatto un punto di riferimento. Il sopraintendente della Chiesa metodista episcopale William Burt in una lettera inviata al ''confratello'' di fede e iniziatico Luigi Lala4 e pubblicata sul numero de ''L'Evangelista'' dedicato interamente al XX settembre del 1907, sottolineò che aveva

seguito con grande interesse gli ultimi movimenti anticlericali, le loro cause e i loro effetti sul popolo. Questi avvenimenti daranno alla prossima storica festa una importanza tutta speciale … e che tutti quelli che militano sotto il vessillo della libertà si uniranno in qualche cosa di pratico che porterà al paese ed al popolo un risultato benefico.5

Un altro punto di convergenza tra i partiti progressisti, la massoneria e parte del mondo evangelico si concretizzò sulla questione della piena laicizzazione della scuola, vista come elemento fondamentale per la difesa dello Stato. Una battaglia difficile, combattuta contro avversari agguerriti ma alla quale la liberamuratoria non poteva sottrarsi.

Il 21 febbraio 1907 il deputato socialista riformista Leonida Bissolati - ritenuto a torto massone ma notoriamente in sintonia con il Grande Oriente d'Italia o per lo meno con la componente ''progressista'' - presentò in Parlamento una mozione che recitava, ''La Camera invita il governo ad assicurare il carattere laico della scuola elementare, vietando che in essa venga impartito, sotto qualsiasi forma, l'insegnamento religioso.''6 Il presidente del Consiglio dei ministri, Giovanni Giolitti consapevole dell'effetto dirompente che una discussione su tale argomento potesse avere, cercò in tutti i modi di rimandarlo nel tempo sperando in un naturale depotenziamento. Esattamente un anno dopo, alla Camera dei deputati, si avviò la discussione e naturalmente fu lo stesso deputato socialista ad argomentare la mozione.

Scorrendo gli interventi pronunciati tra il 18 e il 27 febbraio 1908, appare evidente come l'annosa questione dell'identificazione della religione con la sola Chiesa cattolica fosse ancora presente e quanto fosse difficile fare chiarezza.7 Lo stesso dicasi tra l'anticlericalismo liberal-radicale, anticattolico, e quello della stragrande maggioranza dei leader socialisti, contiguo all'ateismo. Concetti e affermazioni quali la superiorità della ''morale laica'' rispetto a quella ''religiosa'', che ''Dio può servire in certi momenti assai meglio del carabiniere'' per controllare le masse diseredate, la necessità di una ''laicità assoluta, la laicità del locale, la laicità dei programmi, la laicità degli insegnanti'' risuonarono durante la discussione.8

Lo scontro non fu solo tra laici e cattolici, poiché all'interno dello stesso schieramento laicista sorsero delle contrapposizioni. Il massone e liberale Ferdinando Martini precisò che non voleva muovere guerra a nessuna credenza religiosa -affermando di sentirsi più religioso dal momento che non appoggiava l'insegnamento religioso dei cattolici- ed era contrario a sostituire alla ''tirannide antica, che imponeva di credere, la nuova tirannia del non credere'', aborrendo l'ateismo.9 Il quotidiano socialista ''Avanti!'' sostenne che ''aperte le scuole alla Chiesa cattolica, bisogna aprirle alla Sinagoga, alla Chiesa luterana, al libero pensiero, alla Massoneria, a quante associazioni, sette e corporazioni, intendono propagare una fede e illustrare una credenza. Nessun privilegio ad alcuna fede, eguale trattamento a tutte.''10 Con tale affermazione introduceva ulteriori elementi di polemica, dimostrando poca conoscenza della complessità del mondo protestante evangelico. All'inizio del Novecento veniva ancora identificato con la riforma luterana, ponendo sullo stesso piano credi religiosi e libero pensiero, accusando la massoneria di essere portatrice di una credenza e di volerla propagare.

Prima ancora che la mozione di Bissolati approdasse in Parlamento, la Giunta del Grande Oriente d'Italia aveva fatto notare al ministro dell'istruzione Luigi Rava, peraltro massone attivo e quotizzante, come i regolamenti introdotti dopo la riforma Coppino avessero consentito ampi margini affinché il divieto dell'insegnamento religioso potesse essere facilmente eluso. L'invito che Ferrari fece era rivolto verso l'alto al ministro e ai deputati massoni e verso il basso alle logge invitate ad adoperarsi in tale direzione.11 Il fine era di attivare un maggior controllo e adottare provvedimenti legislativi per eliminare queste zone d'ombra.

La mancata approvazione alla Camera, nel 1908 (per ben due volte), della legge che vietava l'insegnamento della religione nelle scuole elementari, con sessanta voti favorevoli e trecentoquarantasette contrari (anche di numerosi deputati massoni), provocò una forte indignazione in molti ''fratelli'' e numerose logge. Questa presa di posizione della base costrinse il Gran Maestro ad adottare provvedimenti disciplinari - con ''l'applicazione dell'art. 127 delle Costituzioni'' e l'accusa di tradimento ( nei confronti di coloro che non avevano appoggiato la mozione presentata la prima volta da Bissolati e, in seguito, in chiave meno rigida, dal deputato zanardelliano Vittorio Moschini.12

Anche per gli ambienti evangelici la laicità della scuola era un argomento che suscitava un certo interesse ma non tale da provocare polemiche e contrasti forti. La componente che prese una posizione decisa fu quella metodista episcopale che in occasione della sua Assemblea annuale ribadì (unitamente alla sezione romana dell'Alleanza evangelica di Roma attraverso l'evangelmassone Aristide Frizziero(13 il suo sostegno alla battaglia laicista sia della liberamuratoria sia della giunta comunale capitolina guidata da Nathan.14 L'adesione però non fu mai acritica, tanto che si arrivò a rimproverare ad alcuni esponenti del Grande Oriente d'Italia di confondere l'anticlericalismo con l'antireligiosità, come ad esempio a seguito dell'intervento dell'assessore alla scuola Gustavo Canti, nonché futuro Gran Maestro aggiunto, svolto durante la discussione sulla soppressione dell'insegnamento religioso.15 Al contempo però i metodisti episcopali rimproverarono la dirigenza massonica di non essere abbastanza vigile a riguardo dell'azione del clericalismo italiano all'estero scrivendo a chiare lettere ''Che ne dicono il Comm. Ballori, Ernesto Nathan, Pilade Mazza, Ettore Ferrari, Ettore Sacchi…? E' tempo di parlare, di protestare.''16

La scissione del Rito Scozzese Antico ed Accettato del 1908

Tornando alle vicende del Grande Oriente d'Italia, visto quanto si produsse a seguito di questa vicenda non è da escludere che alla base della scelta di quanti votarono in maniera contraria vi fosse anche lo scopo secondario di una sorta di resa dei conti all'interno del Grande Oriente d'Italia. In pratica che tale gesto celasse anche l'obiettivo di frenare lo spostamento verso sinistra e ridimensionasse il peso di alcune logge particolarmente politicizzate e l'ascendenza che una parte dei vertici giustinianei, provenienti dall'esperienza radical-massonica sviluppatasi a cavallo dei due secoli, esercitavano sul Gran Maestro.17

Come era già accaduto negli anni precedenti con l'espulsione di ''fratelli'' che avevano appoggiato coalizioni con la presenza di clericali in ottica antisocialista, anche in questa occasione la ''mano dura'' non solo creò mugugni, ma rappresentò il casus belli che permise alla minoranza conservatrice e in primis al pastore metodista Saverio Fera18 di acquisire quella notorietà e di sentirsi un dominus, posizione che aveva sempre cercato di ottenere in campo evangelico ma con scarsi risultati. Postosi sotto la rassicurante protezione, anche economica, offertagli dal metodismo wesleyano, Fera poté dedicarsi con impegno alla carriera ''massonica'' arrivando in breve tempo ai vertici del Rito Scozzese Antico ed Accettato (rsaa). Notoriamente su posizioni politiche conservatrici, nostalgico dell'età crispina, anche quella più repressiva e antisocialista, grazie anche alle sue indubbie capacità organizzative e alle relazioni internazionali derivatele dai contatti evangelici, Fera si dimostrò dopo la promulgazione delle riforme del 1906 come il catalizzatore della corrente moderata. Indubbiamente antipapista, temeva però che un avvicinamento alle formazioni più estremiste del quadro politico italiano connotasse l'anticlericalismo massonico di sfumature ateistiche e che affermazioni come ''l'assoluta, incessante campagna contro il nemico di ogni civile progresso, il clericalismo, di qualunque forma travestito, sotto qualunque gradazione dissimulato''19 in un futuro neanche troppo lontano potessero essere usate non solo contro la Chiesa cattolica, ma anche per altre confessioni religiose. In pratica il suo antisocialismo era più forte dello stesso anticlericalismo e bisogna riconoscere che certe posizioni assunte da alcune logge erano più di tipo ateistico che anticlericale.

Per lui e molti altri ''fratelli'' non erano più sufficienti le reiterate dichiarazioni che affermavano come l'anticlericalismo non fosse sinonimo di ateismo, il ribadire, senza molta convinzione, che il ''Grande Architetto dell'Universo'' era ''l'altissimo e sapientissimo simbolo, nel quale tutte le coscienze e tutte le fedi possono trovarsi affratellate''. Oppure affermare che i massoni erano i ''più sinceri interpreti e i più fedeli eredi'' di Gesù Cristo e ne rivendicavano ''il verbo sublime della civile eguaglianza e della umana solidarietà.''20 Non era una questione nata in seguito alle costituzioni del 1906, ma per una serie di circostanze si ritrovò a rappresentare quanti volevano un ritorno alle origini, privilegiando la tradizione iniziatica piuttosto che l'impegno politico.

A partire da quel momento i fautori di una massoneria tradizionale-ritualistica guardarono a lui come futuro leader, i ''fratelli'' che auspicavano un più incisivo indirizzo politico-sociale progressista s'ispiravano a Malachia De Cristoforis, mentre Ferrari, seppur simpatizzando per quest'ultimo, tentava di rimanere nel solco dei suoi predecessori, cercando di tenere unita l'Obbedienza contando sull'appoggio della maggioranza degli affiliati. Non a caso nel 1907 Fera diede vita a una dura polemica, quando era il Venerabile della loggia fiorentina ''XX settembre'', con la consorella ''Lucifero'' per via dell'appoggio fornito all'elezione del deputato socialista Giuseppe Pescetti e alla formazione di una alleanza bloccarda.21

Un altro ambito, sicuramente delicato e spinoso, che permise a Fera di acquisire potere fu la proposta di unificare i Riti e quindi mettere fine all'anomala, nel quadro della massoneria mondiale, diarchia che caratterizzava Grande Oriente d'Italia da oltre trent'anni. Il tema era estremamente delicato e in entrambi i Riti - il Simbolico e lo Scozzese che si erano sempre ''fraternamente'' poco amati  vi erano pareri contrastanti.

Indubbiamente, la proposta incontrava più resistenza in quello Scozzese Antico ed Accettato, fiero del suo passato e geloso della sua struttura piramidale, ma soprattutto perché avrebbe perso la sua collocazione all'interno del circuito internazionale di questo Rito.

Lo ''scozzesismo'' a livello mondiale stava vivendo una fase di riorganizzazione e nel 1907 promosse una conferenza internazionale dei Supremi Consigli del Rito Scozzese in cui l'Italia fu rappresentata proprio da Fera, che ebbe modo di accrescere visibilità a livello internazionale e contrarre interessanti relazioni evangelmassoniche.

Infine la proposta aveva assunto il carattere di ''lesa maestà'' vista la disparità di forze in campo.22 La vicenda acuì i dissensi tra il Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio del RSAA, il medico Achille Ballori -succeduto alla carica dopo la morte di Adriano Lemmi23 e il suo Luogotenente, lo scalpitante pastore evangelico Fera. Il primo pur essendo contrario all'unificazione, ma per non entrare in conflitto con Ferrari e stizzito per il piglio autoritario utilizzato da Fera durante la discussione- diede le dimissioni. A quel punto il Luogotenente assunse l'effettivo potere in attesa di una assemblea del Rito che le ratificasse. Il tutto successe nei mesi precedenti le vicende collegate con il dibattito sulla laicità della scuola in Parlamento e alle successive espulsioni, che rappresentarono la classica goccia che fece traboccare il vaso. All'interno dello ''scozzesismo'' si creò una forte alleanza tra Fera e il deputato giolittiano Giovanni Camera -già Grande Oratore del Grande Oriente d'Italia che aveva votato contro la mozione Moschini che sfruttando le polemiche e le dimissioni di molti membri, provocate sia dalla questione della riunificazione dei Riti sia dalle mozioni parlamentari, avevano assunto il governo del Rito.

Tra tentativi di riappacificazione - nel marzo del 1908 Ballori fu nuovamente eletto ma sdegnosamente confermò le dimissioni - accuse, veti ed elezioni incrociate, Fera fu investito della carica di Reggente e ''manovrando come una sezione di partito''24 il Supremo Consiglio, come era già accaduto nella gestione della Chiesa evangelica italiana, fece respingere dalla pattuglia di membri a lui fedeli la richiesta di procedere contro i deputati ritenuti ''ribelli''. La risposta di Ferrari, attraverso la voce di Ulisse Bacci, grand commis che gestì la struttura organizzativa dell'Obbedienza per oltre mezzo secolo, fu di duro biasimo per l'atteggiamento assunto da Fera. Il pastore non aspettava altro e il 1° maggio comunicò ufficialmente al mondo massonico internazionale, ma anche a quello profano nostrano, la nascita di un nuovo ''governo'' con naturalmente lui al vertice. I primi atti furono la bocciatura della riforma dei Riti, il rifiuto a procedere contro i deputati (anzi inserì nella ''cabina di regia'' alcuni degli espulsi) e l'elogio del ruolo del ministro Rava, sia in occasione della pubblicazione del regolamento sia per gli interventi in aula, definendo le sue scelte ispirate ''ad un concetto liberale, democratico e massonico, tanto da tranquillizzare completamente i fratelli Deputati che lo seguirono nel voto e da provocare manifestazioni ostili del gruppo clerico moderato''. In ultimo fu confermato il ruolo di Giovanni Camera nel Rito per via ''dei meriti massonici, del suo alto ingegno, della profonda, della parola eloquente, delle virtù che lo adornano e lo rendono decoro della massoneria e utile allo svolgimento delle sue finalità'',25 espressioni, che ricordano molto gli articoli e gli opuscoli del Fera di fine Ottocento, quando al vertice della Chiesa evangelica italiana, allora crispino e ora tutto teso ad accreditarsi come convinto giolittiano.

Nell'estate, dopo la radiazione di Fera e dei suoi seguaci da parte del Grande Oriente d'Italia, si consumò la più grave scissione di tutta la storia dell'Istituzione, che non venne più ricomposta. Circolò la voce che dietro ci fosse la regia di Giovanni Giolitti. Si tratta di una tesi ripresa anche in anni recenti che però, come spesso accade, non porta nuove prove, apparendo anzi poco credibile visto la scarsa osservanza da parte dei deputati frequentanti le logge o in ''sonno''26 dell'art. 23 delle Costituzioni generali della massoneria in Italia, votate nel 1906, che prescrivevano come i massoni che occupavano incarichi pubblici dovevano ''conformare la propria azione al programma massonico.''27 A destare particolare scalpore fu però il fatto che alla guida vi fosse un pastore evangelico e lo stesso avvenne anche dopo la pubblicazione di un articolo apparso su un quotidiano nazionale, nel quale era evidenziato come tra i suoi più stretti collaboratori e assertori del distacco fosse presente un altro pastore protestante, il valdese Teofilo Gay.28 L'intervista rilasciata nel luglio del 1908,29 a scissione consumata, risulta interessante per una lettura ''evangelmassonica'' della vicenda.

Il pastore valdese affermò che

di massoneria ve ne di due specie: una che è la vera, è formata da un aggregato di uomini che pur avendo idealità politiche e religiose diverse intendono conseguire un bene comune avendo in comune un minimum di credenze. Per appartenere a questa massoneria -per essere veri massoni insomma, poiché coloro che appartengono alla seconda categoria pur essendo membri della famiglia massonica di massoni non hanno che il nome - si deve credere in un Ente Supremo e nell'eternità dello spirito che sopravvive alla materia e trova in una seconda vita premio castigo. Dello spirito che anima la seconda massoneria, che è quella che più mena rumore e che vorrebbe la scuola laica per formare delle coscienze atee, cosa vuole che le dica? Manca assolutamente di principi morali e quando questi mancano non può esistere massoneria. … Non si tratta quindi come vede di semplice dissidio su idealità politiche diverse - come affermano i giornali - ma di vera lotta di principi dalla quale dipende l'avvenire della massoneria.

A molti apparve abbastanza singolare che un pastore valdese, ai vertici della massoneria da trent'anni e acceso anticlericale, concedesse a un quotidiano nazionale cattolico un'intervista; naturalmente il giornalista, trovando tanta disponibilità, cercò di ottenere più informazioni possibili. Gay non lo deluse facendo una serie di ricostruzioni, chiaramente autoreferenziali e non sorrette da documenti, che in tal modo lo consacravano tra gli ispiratori della nuova Istituzione liberomuratoria. Rivendicò di essere stato iniziato nelle logge di Torino che erano all'obbedienza di un Supremo Consiglio antagonista a quello che operava nel Grande Oriente, che l'unificazione riuscì grazie alla figura di Lemmi. Specificò che dopo la caduta in disgrazia di quest'ultimo iniziò con Nathan a manifestarsi ''una crepa'' nell'Istituzione ampliatasi in misura sempre maggiore sotto la gran maestranza di Ferrari e raggiungere l'apice durante l'assemblea del 1906 durante la quale, secondo la sua testimonianza, ''ricordo di aver inveito contro tutti e di aver gridato con quanta forza avevo in gola ''Qui dentro non vi è che un massone solo e questo sono io! La Massoneria voi non sapete nemmeno cosa sia! La mia voce però non venne ascoltata e la deliberazione venne presa a maggioranza''.

Non esistendo un resoconto stenografico dell'assemblea del 1906 non sapremo mai se questo ''grido di dolore'' fu emesso. Certo che alcune risposte di Gay riportate dal quotidiano, ammesso e non concesso che fossero state correttamente trascritte, lasciarono molto a desiderare sulla loro esattezza. Un esempio può essere dato dalla domanda con la quale il giornalista chiedeva quale fosse il ruolo ricoperto da Fera nel mondo protestante, ottenendo come risposta ''Una posizione isolata. Dirige a Firenze una chiesa evangelica italiana, l'unica che esista''. Peccato, dal punto della chiarezza d'informazione nei confronti dei lettori, che tale intervista avvenne nel 1908, e cioè quando oramai da un triennio fosse un pastore della Chiesa metodista wesleyana e che non era l'unica denominazione evangelica in Italia. Che fosse isolato all'interno della sua denominazione è probabile e può spiegare il suo particolare impegno sul versante liberomuratorio a creare una nuova Obbedienza pur sapendo i rischi che correva. Come lo stesso Gay testimoniò, resteremo in pochi e si vivrà meglio. I seguaci di Ballori annunziano già di aver ricevuto l'adesione di quasi tutte le loggie italiane: formeranno tanti blocchi. In quanto alle loggie30 estere questa è un'altra cosa. L'adesione dei dissidenti bloccardi francesi l'avranno certamente ma le altre? Le altre non credo. Sono gente seria. Non sono modernisti quelli. I modernisti nostri non vogliono essere massoni e rinnegano l'essenza della massoneria, come i vostri modernisti cattolici che vogliono restare con il Papa e ne disprezzano i comandi. Ma sono fenomeni che passano.

Con vivo compiacimento, possiamo immaginare, da parte dell'intervistatore per questa citazione sui modernisti.

A prendere atto di quante preziose informazioni contenesse l'intervista di Gay fu la rivista ''La Civiltà Cattolica'' che, sempre molto attenta alle questioni massoniche, fu uno dei primi giornali a parlare chiaramente della presenza all'interno del Grande Oriente d'Italia di

una corrente di anticlericali moderati o di anticattolici conservatori, formata nell'ordine dottrinale o religioso di massoni ortodossi del rito scozzese antico ed accettato, fedeli cioè ad un minimum di credenze comuni alle varie professioni religiose: la credenza in un Ente supremo e nella immortalità dello spirito che sopravvive alla materia e trova in una seconda vita premio o castigo.31

Anche se riconosceva che la più antica Istituzione italiana, pur essendo in maggioranza e diretta da ''devoti al giacobinismo francese e bramosi di trapiantarlo in Italia … ebbe cura di mantenere buone relazioni colla massoneria anglo-americana, ch'è più conservatrice'' e quindi non aveva ancora abolito ''la vecchia formola del grande architetto dell'universo''32 e formalmente il divieto di discutere di politica e religione nelle logge. Come molti, nell'estate del 1908, anche i gesuiti de ''La Civiltà Cattolica'' pensarono che la ''corrente conservatrice o moderata, formata o deisti nell'ordine religioso e di opportunisti antisovversivi nell'ordine politico'' una volta staccatasi dal Grande Oriente d'Italia avrebbe avuto vita breve e che il tutto fosse stato orchestrato da ''emissari'' evangelici e giolittiani.

Il ruolo dell' ''Internazionale protestante'' per il consolidamento del nuovo Supremo Consiglio

La scissione non fu il frutto di una congiura ''protestante'', anche se le relazioni evangelmassoniche internazionali agevolarono non tanto la separazione, ma soprattutto il fatto che la nuova Obbedienza, nata gracile sul piano numerico, sarebbe poi riuscita a sopravvivere grazie anche ai prestigiosi riconoscimenti internazionali ottenuti negli anni successivi. In buona parte il merito può essere attribuito alle grandi doti di abilità politica e allo spasmodico lavoro prodotto da Fera e dai suoi più stretti collaboratori.

Forte dell'esperienza maturata, in quel tempestoso contesto che fu la Chiesa evangelica italiana, dell'uso delle persone e dei rapporti personali instaurati con loro e che operavano nella struttura, ma soprattutto dell'arte di trattare e convincere i sostenitori esteri puntò a rafforzare la struttura interna. A tal proposito, utilizzando le possibilità concesse dalle Costituzioni del Rito, nel 1910 dette vita alla Serenissima Gran Loggia d'Italia, comunemente denominata negli anni successivi ''di Piazza del Gesù'', proclamandola, come sempre in tutte le scissioni massoniche avvenute in ogni latitudine del mondo, come ''unico e legittimo corpo massonico indipendente per l'Italia e le sue colonie.''33 Con tale decisione fece sì che la scissione non fosse più solo una questione interna al Rito Scozzese Antico ed Accettato iniziando una campagna di reclutamento e con la disinvoltura che gli era nota. Basti pensare che dopo il naufragio della sua Chiesa e prima di essere accolto dai metodisti wesleyiani in un sussulto ''nazionalista'' chiese ai valdesi, dopo anni di violente polemiche condite da pesanti insulti, di essere ammesso nel loro corpo pastorale.

Come primo atto dichiarò decadute le Costituzioni del 1906 e considerò irregolare il Grande Oriente d'Italia, specificando però che non considerava alterati ''in alcuna guisa i buoni rapporti d'amicizia esistenti col Rito Simbolico Italiano'', rendendosi quindi disponibile a stringere accordi ''per ogni eventuale azione comune nel mondo profano.''34 Conoscendo bene il complesso mondo massonico, sapeva perfettamente come anche all'interno di questo Rito, ritenuto correttamente poco ''spiritualista'' e molto ''profanizzato'', vi fossero dei ''fratelli'' e persino delle intere logge non in linea con i loro vertici, che invece erano fedeli alleati del Gran Maestro Ferrari.

La strategia di reclutamento di Fera ebbe un parziale successo dal momento che tre logge ''simboliche'', la ''Palermo'' e la ''Syndesmos'' di Palermo e la ''Charitas'' di Misilmeri, aderirono alla nuova Obbedienza di Fera. Il fatto che operassero tutte tre nel palermitano evidenzia quanto, pur vivendo da quasi due decenni a Firenze, il reticolo di conoscenze massoniche ed evangeliche tessute da Fera negli anni Ottanta dell'Ottocento nel capoluogo siciliano fosse ancora forte. Questo particolare conferma un dato che troppo spesso viene dimenticato: l'adesione alla massoneria poteva avvenire per svariate motivazioni, più o meno ideali, ma l'ingresso in una loggia poteva compiersi solo per cooptazione, dopo un accurato esame da parte di tre ''fratelli tegolatori''35 e la richiesta sottoposta al voto dei membri dell'officina. Quindi, in presenza sul territorio di figure molto influenti, era normale che nelle logge si creassero gruppi legati a un leader carismatico che ne seguivano le indicazioni.

Naturalmente questa defezione non piacque ai vertici né del Grande Oriente d'Italia né del Rito Simbolico Italiano tanto che il vicepresidente di quest'ultimo, Teresio Trincheri, si premurò di ribadire durante il Congresso svoltosi in occasione del XX Settembre, che l'alleanza con il Rito Scozzese Antico ed Accettato all'interno della comunione di Palazzo Giustiniani fosse salda.36

In effetti pur provocando qualche fibrillazione e molte polemiche, la scissione fu di fatto inizialmente quasi indolore per l'Istituzione giustinianea a parte la perdita del sigillo del Supremo Consiglio e delle 33.000 lire della cassa37 che continuò nella propria crescita, passando dalle centonovantacinque logge nel 1904 alle duecentottantasei nel 1907, con una media di circa duecento iniziati al mese. All'inizio del 1909, con quindicimila iscritti, risultava una delle comunioni europee massoniche più forti, lontana da quella inglese, ma di poco dietro al potente Grand Orient de France, secondo la rivista dei gesuiti l'ispiratore del nuovo corso della massoneria di palazzo Giustiniani che dopo essersi liberata della corrente conservatrice e liberale aveva ''spiegata la bandiera prettamente giacobina e raccolto intorno ad essa i partiti democratici anticlericali, per farsene duce nella guerra contro la religione e scristianizzare l'Italia.''38

Meno indolore fu la questione a livello internazionale che mise in evidenza il modus operandi ''provinciale'' e autoreferenziale dei vertici giustinianei rispetto alla ''internazionalità'' di matrice evangelica di cui disponevano Fera e i suoi collaboratori, in particolare Gay e il pastore metodista wesleyano William Burgess, la conoscenza delle lingue straniere, la rete di relazione non solo 'fraterne', sia iniziatiche sia religiose, ma anche di personale amicizia maturate negli anni.

Come dato obiettivo è sufficiente confrontare la quantità di documenti prodotti dal Supremo Consiglio ferano, conservati negli archivi di alcuni omologhi Riti Scozzesi Antichi ed Accettati esteri, rispetto a quelli inviati da Ballori tra il 1908 e il 1910. La diversità, non solo quantitativa, della documentazione conservata pone in evidenza due modalità di intervento messe in campo rispettivamente da Fera e Ballori, e poi dai loro successori. Un modus operandi che premiò sicuramente il primo, mentre il secondo rinunciò, forte del fatto che la stragrande maggioranza degli 'scozzesisti' era rimasta alla sua ''obbedienza'', rifiutando ogni tentativo di arbitrato proposto dai Supremi Consigli del Belgio, Spagna e Grecia39 partendo dal presupposto che

il nostro Supremo Consiglio, seguito da quasi tutta la Massoneria Scozzese in Italia, non può consentire che sia discusso e quindi revocato in dubbio il suo buon diritto alla esclusiva rappresentanza del Rito in tutto il paese, senza offendere, oltreché la sua stessa ragione d'essere e la sua dignità, anche l'unanime sentimento dei Massoni Italiani.

Perché, pur considerati i fatti specifici sui quali, a parer vostro, potrebbe esperimentarsi un giudizio arbitrale, manca, per nostro convincimento, ogni ragione a contendere (…)40

Grazie a tutti questi elementi, la nuova Istituzione ottenne inizialmente il riconoscimento di alcuni Supremi Consigli europei, primo tra tutti quello belga guidato dal conte Eugène Goblet d'Alviella che con Fera condivideva non solo la carica di Sovrano Gran Commendatore.

In campo massonico, oltre a essere stato Gran Maestro del Grande Oriente del Belgio dal 1884 al 1886, ricoprì il ruolo di Sovrano Gran Comandante del Consiglio Supremo del Rito Scozzese Antico ed Accettato dal 1899 al 1921. In quello politico su Senatore, Vicepresidente del Senato e Ministro di Stato41 ma anche un docente presso l'Université Libre de Bruxelles, dove diede vita a un corso ''d'histoire des religions'' oltre che apprezzato storico delle religioni. La sua opera, La Migration des symboles, fondamentale testo per la nascita della archaeology of religion and ritual, lo rese famoso e nel 1891 venne invitato a tenere una conferenza all'Università di Oxford dal titolo, Lectures on the Origin and Growth of the Concept of God, as Illustrated by Anthropology and History. Questa conferenza si svolse nell'ambito delle Hibbert Lectures, annuali conferenze su temi teologici sponsorizzate dalla Hibbert Trust fondata nel 1847 dall'unitariano Robert Hibbert. In onore degli studi compiuti gli fu conferito il titolo di dottore honoris causadalle università di Glasgow e di Aberdeen e dopo la sua scomparsa l'Académie Royale de Belgique, a partire dal 1926, assegna un riconoscimento quinquennale a lui intitolato per premiare la migliore opera di natura strettamente scientifica relativa alla storia delle religioni.42

Dal punto di vista religioso nacque in una famiglia cattolica ma poi divenne un convinto ''unitariano'' grazie alla frequentazione di un ex pastore metodista e massone, James Hocart. Dopo aver dato vita a una chiesa metodista a Bruxelles, si allontanò dal pensiero del ''Reveil'' e nel nome di una armonizzazione tra religione, filosofia e scienza, si indirizzò verso i principi del protestantesimo liberale, fondando nel 1888 una Chiesa liberale protestante, che raccolse l'adesione di esponenti di rilievo della vita politica e sociale belga, nonché di numerosi massoni. Su impulso soprattutto di Goblet d'Alviella assunse una connotazione unitariana e latitudinaria frequentata da fedeli che ''Ils se f1attaient d'être une association de chercheurs fervents travaillant à réconcilier, par la raison, la science et la liberté, la pensée religieuse et la culture scientifique et à faire de la foi religieuse une foi morale, de la foi morale, une foi religieuse obbedienza.''43

Al di là della differente statura culturale e della carriera politica, esistevano tutti i presupposti che con Fera nascesse una entente fraternelle che aprì a quest'ultimo nuovi contatti con il mondo inglese (nel 1875 Goblet d'Alviella accompagnò in un lungo viaggio in India il principe di Galles, futuro re Edoardo VII a partire dal 1901, che nel 1874 era stato proclamato Grand Master della United Grand Lodge of England ) e d'oltreoceano dove le relazioni tra unitariani e liberimuratori erano molto forti.

Dopo aver incassato i riconoscimenti dei Supremi Consigli europei arrivarono quelli degli Stati Uniti d'America. Prima quello della Giurisdizione Sud (Mother Council of the World) con sede a Washington e diretta da James Daniel Richardson, membro della congregazionalista The Christian Church (Disciples of Christ). Poi della Giurisdizione Nord, con base a New York, con a capo Samuel Crocker Lawrence, membro dalla Unitarian Universalist Church, affine alla Chiesa fondata da Goblet d'Alviella. L'acquisizione di importanti appoggi raggiunse l'apogeo con il Convento mondiale dei Supremi Consigli del 1912 tenutosi a Washington, dove fu riconosciuto da cinquantasei organismi scozzesisti. Per comprendere quanto fosse importante questo appuntamento basti rilevare che nella capitale statunitense si recarono in delegazione Fera, l'onorevole Camera e il responsabile della Chiesa metodista wesleyana, Burgess, che si adoperò personalmente presso il Supremo Consiglio di Washington, pur non ricoprendo in quel momento incarichi massonici di rilievo.

Anche il Grande Oriente d'Italia, resosi conto che il fiero isolamento era controproducente, si rivolse a un evangelmassone di peso per perorare la propria causa. In una ricerca condotta presso l'archivio di William Burt, Giorgio Spini ha rinvenuto alcune notizie su questa vicenda nonché le prove di quanto l'anziano pastore, memore dei buoni rapporti intessuti nella sua permanenza italiana con i vertici ''giustinianei'', si fosse adoperato affinché, come avvenne, i vertici di numerosi Supremi consigli ''scozzesisti'' raccomandassero la riconciliazione fra la Gran Loggia di ''piazza del Gesù'' e il Grande Oriente di ''palazzo Giustiniani.''44

Come era già avvenuto nei decenni precedenti il tessitore di questa rete internazionale fu Gay, a cui era più congegnale un'attitudine di diplomazia ''parallela'' piuttosto che di frequentatore e cura delle logge, al punto che quella di Torre Pellice rimase all'obbedienza del Grande Oriente. In una lettera (conservata in un album dove il pastore valdese riponeva i documenti legati alle vicende più importanti della sua vita) si apprende che Fera, oltre a nominarlo membro effettivo del Supremo Consiglio - atto voluto ma anche dovuto dato che faceva già parte del precedente ed era il più anziano massonicamente parlando  lo investiva del ruolo di ''Inviato Speciale''45 presso i tre Supremi Consigli europei francofoni (Francia, Belgio e Svizzera). Il suo compito era di descrivere di persona la situazione creatasi in Italia, definendo ''provvidenziale'' il distacco da ''una massa raggranellata sotto il nome di massoneria, ma che non aveva e non ha altro scopo che l'azione politica, l'intolleranza incredula ed atea, la ribellione continua ad ogni principio o disciplina del nostro Rito Scozzese antico ed accettato per giungere allo scopo.''46 La ''tessitura'' di Gay ottenne ottimi risultati considerando che alla fine del 1908 vi fu la visita in Italia del Gran Segretario belga Alphonse De Paepe e il riconoscimento l'anno successivo, ma il lavoro del valdese non si limitò solo all'Europa tanto che nel 1910 lo ritroviamo Garante d'amicizia, equivalente di un ambasciatore, con i due Supremi Consigli più importanti, quelli statunitensi e nel vertice del Rito con la carica di Gran Guardiasigilli.

Presenze evangeliche e reazione del mondo protestante in Italia

La presenza di pastori protestanti nei ruoli chiave della nuova Obbedienza - leadership che andò oltre a Fera e Gay, dato che nel 1918 il pastore Burgess assunse la carica di Sovrano Gran Commendatore e Gran Maestro  può far pensare a una qualche ''macchinazione'' evangelica? Non esiste una documentazione tale per avanzare questo tipo di ipotesi, come al contempo è difficile determinare quanti ecclesiastici protestanti iniziati prima del 1908 sentirono il richiamo di una Istituzione liberomuratoria a guida ''protestante'' e transitarono dalle logge del Grande Oriente d'Italia a quelle della Gran Loggia d'Italia. Nell'organigramma sia del Supremo Consiglio sia dell'Obbedienza ''ferana'' ritroviamo l'imprenditore valdese Ernesto Turin,47 in stretti rapporti con Gay, con l'incarico di Gran Cerimoniere della Gran Loggia, mentre Nicola Lettieri,48 pupillo di Fera, da lui iniziato nel 1885 e genero e ''fratello massone'' del pastore Francesco Sciarelli,49 ottenne il 33° grado ma non fece parte del Supremo Consiglio.

Di certo non lo seguirono altri ''confratelli'' che erano al vertice della piramide scozzesista come i pastori Ernesto Filippini50 -segretario dell'organo di governo del RSAA, braccio destro di Lemmi dal 1899 alla sua morte e poi uomo di fiducia del nuovo Sovrano Gran Commendatore Ballori- o come Vincenzo Cassiodoro Nitti,51 Santi Stagnitta,52 Giovanni Battista Gattuso di Brancaccio,53 che in alcune occasioni usarono parole forti e dure nei confronti del loro correligionario Fera.

Filippini scrisse laconicamente nel suo diario: ''24 giugno. Scisma della Massoneria e del Supremo Consiglio a causa di Fera. Achille Ballori è rieletto a Sovrano Gran Commendatore. Io resto al mio posto di Direttore della Grande Segreteria del Supremo Consiglio - Palazzo Giustiniani.''54 Continuò la sua carriera nell'Obbedienza giustinianea e nel 1911 fu eletto in una nuova Commissione istruzione, a dimostrazione di come nonostante la sconfitta del 1908, questo argomento rimanesse tra le priorità del Grande Oriente.

Che Nitti fosse rimasto nel Grande Oriente d'Italia dopo la scissione del 1908 lo si desume da molte allusioni negative fatte su Fera e sulla sua comunione massonica recensendo, in modo critico, l'opuscolo La Massoneria nell'Esercito e nella Marina del conte Goblet d'Alviella, grande protettore internazionale del pastore Fera.

Ma Nitti più che analizzare il contenuto dell'opuscolo colse l'occasione per rispondere attraverso un giornale evangelico ad alcune affermazioni di Fera accusandolo di pretendere

di scoprire l'intima natura della massoneria, non dice sempre la verità in riguardo alla secolare istituzione. Non la dice per es., quando afferma che la Massoneria non fa politica; quasi come la Massoneria non fosse una società di uomini, viventi in terra partecipanti alla vita comune. Avrebbe potuto e dovuto dire che non fa politica liberticida, clericale, reazionario, politica sporca, insomma; se fare politica significa partecipare alla res pubblica (non abbia paura, cav. Fera, voglio dire cosa pubblica), allora perché la Massoneria non dovrebbe fare politica, mentre tutte le istituzioni ed i partiti fanno la loro politica e la fa anche il cav. Fera?

In quanto alle note poi dico tutto nel riferire che il cav. Fera tira l'acqua al proprio mulino, a scapito della Famiglia Massonica Italiana da cui egli si è separato.55

Ben più duro fu il giudizio dell'anziano ''confratello'' ai tempi della Chiesa cristiana libera, Stagnitta, che rivolgendosi al Gran Maestro definì Fera come una persona dal ''carattere autoritario e violento, spesso doppio ed infido, che non rifugge di usare qualunque mezzo, pur di riuscire nel suo intento, lo ha reso oramai famoso nel campo religioso e civile''. Parole che testimoniano l'esistenza di un passato burrascoso tra i due. Allo stesso tempo Stagnitta riprese il pensiero di Nitti sull'utilità dell'intervento attivo nella politica da parte del Grande Oriente d'Italia, plaudendo l'appoggio dato alla nascita dei 'blocchi popolari' e ritenendo dannoso ''il ridurre la Massoneria ad una società ascetica o problematica di beneficenza.''56

Che la scissione massonica per via del coinvolgimento diretto e fondamentale di alcuni pastori protestanti evangelici provocò non poco imbarazzo tra le denominazioni, lo si deduce dalla ritrosia con cui la stampa di quell'ambiente diede informazioni sulla vicenda soprattutto quali escamotage ricorse per non prendere posizioni a riguardo.

Le denominazioni più coinvolte erano senza dubbio quelle metodiste non fosse altro perché la scissione fu diretta da due wesleyani, Fera e Burgess, con il supporto di un valdese, Gay, che però aveva iniziato il suo percorso pastorale tra gli episcopali e godeva di ottimi rapporti con i metodisti nostrani e, in particolar modo, con quelli americani.

Tra coloro che non seguirono gli scissionisti vi erano gli episcopali Lala e Carlo Maria Ferreri,57 rispettivamente direttore e amministratore de ''L'Evangelista'', ma soprattutto Filippini che, non era solo una figura di primo piano in ambito liberomuratorio. Esattamente un anno prima, nel maggio del 1907, era stato l'artefice del V° Congresso mondiale delle Scuole Domenicali svoltosi a Roma.58 L'evento del quale avevano parlato tutti i giornali italiani e all'estero e che la stampa evangelica descrisse come una ''grande affermazione del mondo evangelico svoltasi nella città dei Cesari e dei Papi, persecutori gli uni e gli altri dei veri seguaci di Cristo'',59 vide la città invasa da circa millecinquecento delegati di varie Chiese protestanti evangeliche (cinquecento dagli Stati Uniti, duecento dall'Inghilterra e il resto da numerosi paesi). Le relazioni più importanti dell'assise furono svolte dagli evangelmassoni Edoardo Taglialatela60 e Nitti61 e la figura di Filippini divenne nota e apprezzata in tutto il mondo.

L'organo delle due Chiese metodiste, ''L'Evangelista'' scelse, per commentare il travaglio che stava attraversando la massoneria italiana, la ''salomonica'' soluzione di riprendere un articolo apparso sul quotidiano ''Giornale d'Italia'' facendolo precedere da un laconico cappello, dato che l'argomento ''ci riguarda troppo da vicino per non trascriverlo integralmente'' ma ''di nostro non aggiungiamo niente.''62 In sintesi, l'articolo, scritto da un massone non ''protestante'' rimasto nell'anonimato, invitava gli evangelici presenti nelle logge a valutare con molta attenzione e a non farsi condizionare da appartenenze di logge o denominazioni, per decidere quale delle due componenti rispondesse ''agli statuti del Rito Scozzese e ai principi religiosi''. L'autore prendeva atto come a partire dalla gran maestranza di Ferrari, gli evangelmassoni, in maggioranza schierati su posizioni moderate, avessero vissuto con sofferenza alcune prese di posizioni ritenute troppo estremiste che in qualche modo snaturarono l'essenza ''morale e umanitaria'' e che Ballori, a cui si riconoscevano sani principi e correttezza, non aveva svolto un'efficace opposizione a tali derive. Ma una volta lanciato questo ''grido di dolore'', seguire Fera rappresentava la soluzione più saggia?

La risposta ripropose l'incipit iniziale:

Ma risponderà agli ideali della vera Massoneria quella capitanata dal Fera? Sia costui il papa o l'antipapa poco importa; noi abbiamo bisogno in questo momento che, cessato il periodo delle bolle e degli anatemi, il Fera ci dia assicurazione sulla via che vuol battere. Troppe accuse gli sono state mosse, troppi amici egli ha di colore alquanto incerto, perché noi, pur essendo uniti a lui da vincoli di fraterna amicizia, possiamo avventurarci in una alleanza che potremo rimpiangere domani.

L'eco della scissione diede lo spunto al settimanale valdese ''La Luce'' di ribadire le posizioni critiche nei confronti della massoneria che riflettevano il sentimento della componente più tradizionalista della Chiesa, principalmente nelle Valli. I leitmotiv erano comuni e condivisi da altri soggetti, politici e sociali, come i socialisti. Ad esempio riconosceva il ruolo fondamentale avuto dalla liberamuratoria nei secoli passati per l'affermazione dei diritti e dei valori umani ma che in quel momento storico aveva perso la propria funzione diventando una istituzione anacronistica. Ma l'articolista andava oltre mettendo persino in discussione il suo fermo anticlericalismo: non perché si fosse affievolito ma ''le armi del papato sono diventati strumenti innocui capaci solo di spaventare qualche spirito sempliciotto o qualche donnicciola fanatica.''63 Quest'ultimo giudizio sul ruolo della Chiesa cattolica era diametralmente opposto a quello sostenuto dal settimanale metodista ''L'Evangelista'', che invece considerava la massoneria come ''maestra e duce insuperabile nell'epica lotta tra il mondo civile e l'oscurantismo della tirannide vaticana.''64 Altro punto era l'affermazione che fosse una società segreta ''che lavora nell'ombra e propugna ideali sconosciuti'', accusa alla base di tutte le scomuniche papali al partire da quella di Clemente XII del 1738. Anche in questo le posizioni tra valdesi e metodisti differivano e lo dimostra il fatto che le notizie sulle attività sia dei Gran Maestri sia delle singole logge trovavano spazio sulla stampa episcopale.

Le posizioni tra le due riviste diventavano però meno distanti quando si affrontava la questione del rapporto con la religiosità da parte delle massonerie latine. Mentre per ''La Luce'' le recenti polemiche avevano dimostrato che la maggioranza dei membri di questa società tendeva al più aperto ateismo, per ''L'Evangelista'' pur riconoscendo la presenza di componenti razionaliste antireligiose, il landmark della credenza in un Supremo Architetto non era mai venuto a meno.

Ma se queste e altre notizie, sempre antimassoniche,65 pubblicate dalla rivista valdese si incontravano soprattutto in una rubrica di ''notarelle e spigolature'', quindi dove i temi non venivano approfonditi, con l'articolo, Massoni ed Evangelici, la posizione divenne chiara e inequivocabile. Firmato con lo pseudonimo ''Un fuoriuscito'',66 questo articolo riprende e sistematizza buona parte del pensiero di coloro che ritenevano incompatibile la doppia appartenenza. L'incipit era chiaro e in parte rispondeva al vero:

la Loggia Massonica e la Chiesa Evangelica non hanno nulla in comune e che tra loro non corrono patti né palesi né segreti (…( Che vi sieno degli evangelici nelle Logge Massoniche questo è risaputo da tutti, ma non ne decorre che la loro presenza in una Loggia implichi rapporti o compromessi tra la loro Chiesa e la Massoneria.67

E in effetti non sono mai emerse prove o documenti che attestino collaborazione di tipo ''organico'' sia a livello nazionale sia locale.

Per il resto dell'articolo - come era già successo circa quarant'anni prima quando apparvero i primi scritti antimassonici di matrice protestante evangelica - vennero utilizzate affermazioni estrapolate da un contesto più ampio, il tutto finalizzato a dimostrare che entrambi i Riti che costituivano il Grande Oriente d'Italia ''concordano a volere la Massoneria non solo areligiosa ma farne un Istituto di razionalisti, di positivisti''. A quel punto all'interrogativo se ''l'Istituto massonico possa contare nel suo seno evangelici degno di questo nome'', la risposta, indirizzata agli ''ex-fratelli iniziati'' non poteva lasciare il minimo dubbio: ''Una più lunga confusione e compromissione non potrebbero che, perpetuando l'equivoco, fare di voi cattivi massoni e pessimi evangelici.''68 Gli stessi temi (l'anacronismo della presenza della massoneria nel XX secolo, l'essere una società segreta) ma trattati con più serenità anche se il giudizio finale fu sempre negativo, furono analizzati in un articolo de ''L'Ècho des vallées'' dedicato alla scissione senza però avere intenzione ''de prendre parti pour l'un ou pour l'autre des ''souverains grandes commandeurs'', ni d'examiner lequel des deux papes a le droit d'excocommunier l'autre.''69

Tornando alla scissione dai documenti che ci sono pervenuti risulta che pochi evangelmassoni seguirono Fera e presumiamo che molto influì in tale scelta la conoscenza delle vicende interne che travagliarono la Chiesa evangelica italiana. Poiché apparve piuttosto chiaro che la scissione non sarebbe rientrata ma anzi, grazie ai contatti di Fera e Gay, la nuova organizzazione massonica godeva di buoni appoggi a livello internazionale, le due Obbedienze divennero ''fraterne nemiche'', divise su tutto eccezion fatta per il fronte dell'anticlericalismo che anzi si rafforzò,70 a dimostrazione che questa attitudine faceva parte del DNA della massoneria latina in generale. Naturalmente nella componente di Fera scomparve ogni ambiguità antireligiosa71 mentre in quella di Ferrari permase una certa contaminazione liberopensatrice di stampo razionale e ateistico, ma non se ne trova traccia nei documenti o negli articoli che esprimevano il pensiero dei vertici.

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1 ''Assemblea costituente massonica'', Rivista Massonica 1 (1906), 25.

2Per un quadro complessivo sui rapporti tra protestantesimo e massoneria in Italia rimandiamo a Marco Novarino, Evangelici e liberimuratori nell'Italia liberale (1859-1914) (Torino: Claudiana Universitaria, 2021).

3''Consiglio dell'Ordine'', Rivista Massonica 15-16 (1907), 374-375.

4Luigi Lala apparteneva alla loggia ''Rienzi'' di Roma (Archivio Storico del Grande Oriente d'Italia, d'ora in avanti ASGOI, Registri matricolari, n. 30386).

5''Il messaggio del vescovo Burt'', L'Evangelista 38 (1907), 297. Cfr. anche gli articoli, ''Vinti e vincitori'', ''Roma docet'' e ''Le parole del sindaco Nathan'', L'Evangelista, rispettivamente 28, 48 e 49 (1907), 218, 382 e 390.

6Atti Parlamentari, Camera Dei Deputati, Legislatura XXI, Tornata di giovedì 21 febbraio 1907 (Roma: 1907), 12185.

7Atti Parlamentari, Camera Dei Deputati, Legislatura XXI, (Roma: 1907), ad indicem.

8Atti Parlamentari, Camera Dei Deputati, Legislatura XXI, Tornata di martedì 18 febbraio 1908 (Roma: 1908), 19301 e ssg.

9Atti Parlamentari, Camera Dei Deputati, Legislatura XXI, Tornata di venerdì 21 febbraio 1908, (Roma: 1908), 19436.

10''Per la scuola laica'', Avanti!, 21 febbraio 1908, 1.

11ASGOI, Verbali della Giunta, 3 dicembre 1906.

12ASGOI, Verbali della Giunta, 6 marzo 1908.

13Aristide Frizziero apparteneva alla loggia ''XX Settembre'' di Roma (ASGOI, Registri matricolari, n. 12.400).

14''Ritenendo che lo stato non è competente in materia religiosa e che tutti i culti debbono essere uguali in faccia alla legge; stigmatizzando ogni previlegio come ogni esclusione odiosa, propugna, coll'Alleanza evangelica di Roma, il principio laico nelle scuole dello stato'', ''Un voto delle chiese evangeliche per la scuola laica'', Gazzetta del Popolo, 24 giugno 1908; ''La parola che si leva oggi dal Campidoglio'', L'Evangelista 29 (1908), 1.

15G. Cervi, ''Un altro genere di dogmatismo'', L'Evangelista 30 (1908), 233-234.

16Tra quelli indicati, Ettore Sacchi non era massone. Le citazioni in grassetto del Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico ed Accettato, Achille Ballori, e del Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, Ettore Ferrari, sono presenti nel testo originale. Cfr., ''Note e commenti. L'Italia clericale all'estero'', L'Evangelista 35 (1908), 274.

17Per una ricostruzione precisa e puntuale cfr. Ferdinando Cordova, Massoneria e politica in Italia. 1892-1908 (Roma-Bari: Laterza, 1985), 277-293; Anna Maria Isastia, Alessandro Visani, L'idea laica tra Chiesa e massoneria. La questione della scuola (Roma: Atanor, 2008), 40-62.

18Saverio Fera venne iniziato nei primi anni Ottanta nella loggia ''Benito Juarez'' di Napoli

19''Assemblea costituente massonica'', Rivista Massonica 1 (1906), 25.

20''Gran Loggia di Rito Simbolico Italiano'', Rivista Massonica 1 (1908), 3.

21Lorenzo Piccioli, I 'popolari' a Palazzo Vecchio. Amministrazione, politica e lotte sociali a Firenze dal 1907 al 1910, (Firenze: Olschki, 1989), 39 ssg.

22Nel 1906 le logge Scozzesi erano 215 mentre quelle Simboliche 38. ''Grande Oriente d'Italia, Appunti statistici. Movimento delle logge e dei triangoli'' (archivio privato dell'autore).

23Patriota e uomo politico, amico di Giuseppe Mazzini, fu Gran maestro del Grande Oriente d'Italia dal 1885 al 1896 e poi ricoprì la carica di Sovrano gran commendatore del Rito scozzese antico ed accettato fino alla morte, avvenuta a Firenze il 23 maggio 1906. Cfr. Aldo Mola,Adriano Lemmi. Gran maestro della nuova Italia (1885-1896) (Roma: Erasmo, 1985); Fulvio Conti,LEMMI, Adriano, inDizionario biografico degli italiani, vol. 64, (Roma: Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2005).

24Aldo Alessandro Mola, Storia della massoneria italiana (Milano: Bompiani, 1994),330.

25''Un importante documento segreto sull'espulsione dei deputati massoni'', Il Momento, 4 maggio 1908, ripreso dal Corriere della Sera, ''Un curioso documento massonico'', 4 maggio 1908.

26In precedenti sentenze di espulsioni, in base all'art. 125 delle Costituzioni, venne affermato che ''neanche ai fratelli inattivi era lecito violare'' i principi fondamentali e all'indirizzo dell'Ordine (ASGOI, Verbali della Giunta, 25 gennaio 1906).

27Grande Oriente d'Italia, Costituzioni generali della massoneria in Italia, discusse ed approvate dall'assemblea Costituente del 1906 (Roma: G. Civelli, 1906), 20.

28Teofilo Gay, secondo una sua testimonianza, venne iniziato in una loggia alle dipendenze di un Supremo Consiglio di RSAA sedente a Torino nei primi anni Settanta. Dopo l'unificazione con il Supremo Consiglio di Roma assunse la carica di Gran Segretario Cancelliere.

29''Il Pastore valdese T. Gay massone e ferano spiega l'origine della discordia'', Il Momento, 18 luglio 1908, 1.

30Sicuramente intendeva dire ''Gran Logge'' straniere e non logge all'obbedienza del Grande Oriente d'Italia che operavano all'estero.

31''La nuova evoluzione della massoneria italiana'', La Civiltà Cattolica 1 (1909), 258.

32Ivi.

33''Decreto 109/1908 del Supremo Consiglio dei 33∴'' . Cfr. anche, Consiglio dei 33∴ e della Serenissima Gran Loggia per la Giurisdizione d'Italia e sue Colonie, Annuario n. 1 (dal 24 giugno 1908 a 20 settembre 1910), edizione per l'estero (Roma: 1910).

34Lettera inviata dal Sovrano Gran Commendatore Fera al Presidente della Serenissima Gran Loggia del Rito Simbolico Italiano, in data 9 luglio 1908, Rivista Massonica 17-18 (1908), 422.

35''Tegolatura'' è un termine massonico per indicare una serie di incontri svolti separatamente da tre Maestri di una loggia con l'iniziando per sincerarsi delle sue qualità morali e conoscere le motivazioni per cui ha chiesto di aderire alla liberamuratoria.

36''Congresso del Rito Simbolico'', Rivista Massonica 13-14 (1908), 308.

37Circa 135.000 euro. Cfr. Aldo Alessandro Mola, Storia della massoneria italiana, 330. Questa notizia venne indirettamente confermata da Fera in una intervista pubblicata su Il Messaggero, 15 luglio 1908, ''Il dissidio della massoneria''.

38''La nuova evoluzione della massoneria italiana'', La Civiltà Cattolica, 1 (1909), 270.

39Cfr. Marco Novarino, Fondi massonici in lingua italiana del Centro Documental de la Memoria Histórica (Sección Especial) di Salamanca, (Quaderni del CRSL-M Serie Fondi e fonti 1), (Torino: CRSL-M, 2017), 19 e 46.

40Centro Documental de la Memoria Histórica di Salamanca - SE-Masonería_A, 245 , 2, Lettera a Goblet d'Alviella, 31/3/1909.

41Il titolo di Ministro di Stato era un titolo onorifico ed era conferito a personalità che si erano dimostrate particolarmente meritevoli nella vita pubblica belga.

42Sulla multiforme e interessante vita di Goblet d'Alviella cfr. Alain Dierkens (edités par), ''Eugène Goblet d'Alviella, historien et franc-maçon'', numero monografico di Problèmes d'histoire des religions, n° 6 (1995), edités par Editions de l'Université de Bruxelles. Cfr. anche la breve biografia edita dalla Academie Royale de Belgique con un elenco completo delle sue pubblicazioni in: http://www.academieroyale.be/academie/documents/GOBLETDALVIELLAEugeneARB_197828563.pdf, (consultato il 20.03.2022).

43Hugh R. Boudin, ''Eugène Goblet d'Alviella et le protestantisme liberal'', in: Alain Dierkens (edités par), ''Eugène Goblet d'Alviella, historien et franc-maçon'', cit., 45.

44Giorgio Spini, Italia liberale e protestanti (Torino: Claudiana, 2002), 289.

45Sottolineatura in corsivo presente nel testo originale.

46Album senza numero ora riprodotta in Augusto Comba, Valdesi e massoneria (Torino: Claudiana, 2000), 101-103.

47Ernesto Turin fu iniziato nella loggia ''Propaganda'' di Torino nel 1903 (ASGOI, Registri matricolari, n. 16090).

48Nicola Lettieri fu iniziato nella loggia ''Centrale'' di Palermo (ASGOI, Registri matricolari, n. 07639).

49Francesco Sciarelli fu iniziato nella loggia ''Camicia Rossa'' di Napoli, all'obbedienza del Supremo Consiglio di RSAA di Napoli.

50Ernesto Filippini fu iniziato nella loggia ''Aonio Paleario e Spezia'' di La Spezia (ASGOI, Registri matricolari, n. 06603).

51Vincenzo Cassiodoro Nitti fu iniziato nella loggia ''Giovanni Bovio'' di Livorno (ASGOI, Registri matricolari, n. 22439).

52Santi Stagnitta apparteneva alla loggia ''S.Romeo-Aspromonte'' di Reggio Calabria (ASGOI, Registri matricolari, n. 23767 ).

53Giovanni Battista Gattuso di Brancaccio fu iniziato nella loggia ''Fermezza'' di Perugia agli inizi degli anni Ottanta.

54Archivio Storico della Tavola Valdese (d'ora in avanti ASTV), Fondo Filippini, Diari, Diario1908.

55''Recensioni minime'', L'Evangelista, 5 (1913), 6.

56ASTV, Fondo Filippini, Corrispondenza con esponenti della massoneria, Lettera, su carta intesta della R.L. G. Bovio di Rito Scozzese Antico ed Accettato all'Or. di Reggio Calabria, firmata da Santi Stagnitta, in data 16 luglio 1908, e indirizzata al Gran Maestro Ettore Ferrari.

57Carlo Maria Ferreri, apparteneva alla loggia ''Rienzi'' di Roma (ASGOI, Registri matricolari, n.21277).

58Cfr. il resoconto dei lavori in Sunday-Schools The World Around. The Official Report of the World's Fifth Sunday-School Convention, in Rome, May 18-23, 1907 (Philadelphia: The World's Sunday-School Executive Committee, 1907).

59''V° Congresso Mondiale delle Scuole Domenicali'', L'Evangelista 21 (1907), 162.

60Edoardo Taglialatela venne iniziato nella loggia ''Cavour'' di Torino (ASGOI, Registri matricolari, n. 13495).d

61''V° Congresso Mondiale delle Scuole Domenicali'', L'Evangelista 21 (1907), 163.

62''Che cosa debbono fare i massoni di religione protestante?'', L'Evangelista 33 (1908), 1.

63''Guardando attorno'', La Luce 30 (1908), 1.

64''Dopo l'infame delitto della setta clericale'', L'Evangelista 43 (1909), 1.

65Cfr. l'articolo ''Esagerazioni'', La Luce 17 (1909), 3.

66''Massoni e evangelici'', La Luce 40 (1908), 1-2. Il fatto che l'autore fosse un ex-massone, in possesso di documenti a uso interno e utilizzasse una buona prosa si può ragionevolmente ipotizzare che fosse Janni.

67Ivi. 1.

68Ivi. 2

69''Que faut-il en penser? '', L'Ècho des vallées 31 (1908), 1.

70''Le accuse e gli attacchi contro i gesuiti sono una costante durante la vita del Fera. Ancora nel 1909 uscirono sul Bollettino Massonico alcuni articoli dal titolo, ''Cacciamo i Gesuiti'', a firma Eblis chiaramente ispirati, se non scritti dallo stesso Fera, e in essi si riprendono i toni, i motivi e, in taluni casi, le parole stesse di, Italia libera con Cristo, mai più con i Gesuiti, operetta editata a Palermo nell'ormai lontano 1886''. Cfr. L. Pruneti, ''Saverio Fera fra testimonianza cristiana e militanza massonica'', in: AA.VV. Protestantesimo e Massoneria in Italia nel secolo XX (Roma: Edimai, 1997), 42.

71Cfr. L. G., ''La Chiesa e la Massoneria'', Bollettino Massonico 1 (1910), 6-8.

Received: February 14, 2022; Accepted: March 28, 2022

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